Debussy. Musica modale e Tradizione
Per gentile concessione dell'autore, proponiamo una riflessione di Eduardo Ciampi, tratta dal saggio La Campana Sommersa da Hauptmann a Respighi. Il soprannaturale della Natura, su Claude Debussy come iniziatore di un ritorno alla concezione sacrale e tradizionale della musica.
Musica modale e Tradizione
Il musicologo francese Jaques Viret, nel un suo acuto saggio La musica occidentale e la Tradizione, curato dal Antonello Colimberti, traccia una linea che - dopo l'ubriacatura progressista, culminata in Wagner, e destinata a dissolversi in Schönberg - da Debussy giunge fino al canto armonico ed al minimalismo musicale, che a suo parere rappresentano una Tradizione ritrovata a livello musicale (con Arvo Pärt come esempio contemporaneo più eclatante).
Claude Debussy, fu influenzato soprattutto dalla musica russa di Modest Mussorgskij, il cui stile è informato dalla musica popolare; ma il maestro francese scoprì anche il canto gregoriano, seguendo le intuizioni del suo coevo connazionale Satie.[1] All'inizio del III atto dell'opera simbolista Pelleas et Maelisande (1902), tratta dalla fonte letteraria di Maurice Maeterlinck, "la misteriosa e diafana eroina abbandona i suoi lunghi capelli biondi, sciolti, alla finestra della torre del castello. Ella canta allora un lamento, cantilena senza età, non accompagnata, nel modo gregoriano di re. Prima melodia gregoriana composta dai tempi di Guillaume de Machaut, cinquecento anni più tardi. Aldilà del regno durato tre secoli (1600-1900) del sistema tonale, Debussy si è ricollegato con i principi ancestrali della musica universale".[2] Durante l'esposizione universale del 1889, il compositore francese fu rapito dalla presenza di un gamelan giavanese. In un articolo del 1913 esprime sincera attrazione per le musiche tradizionali in generale: "Ho visto e rivisto, malgrado il disordine che porta la civiltà, degli affascinanti piccoli popoli che apprendono la musica in maniera così semplice come uno apprende a respirare [...]. Chi ci restituirà l'amore puro dei musicisti pii delle epoche antiche?"[3] Nel 1916 Debussy assisterà poi con entusiasmo ad un concerto tradizionale dell'India del Nord, portato a Parigi dal suonatore di vina (versione tradizionale di sitar) Hazrat Inayat Khan.[4]
"Debussy ha riabilitato i modi non alla maniera di un superficiale ingrediente stilistico, ma, conformemente alla loro appartenenza spirituale, come armonia centrata sulla melodia. [...] Mettere all'angolo la tonalità classica non obbliga assolutamente a bandire la tonalità in sé o la polarizzazione tonale, cioè il principio generale di coerenza, fondato sulle consonanze naturali."[5] Debussy operò dunque una sorta di emancipazione della consonanza, uscendo quindi fuori dal quadro ormai consunto dell'armonia tonale 'classica'.[6] "Lo stile di Debussy volta le spalle a due linee di forza che hanno guidato, nella loro evoluzione, la musica e l'arte d'Occidente a partire dalla fine del Medioevo: razionalismo da un lato e sentimentalismo dall'altro".[7] La sua direzione fu seguita in Europa soprattutto da quei compositori che si dedicarono alla riscoperta delle risorse musicali contadine, le quali non potevano che presentare tale assetto tradizionale: gli inglesi Gustav Holst e soprattutto Ralph Vaughan Williams, e gli ungheresi Zoltan Kodaly e Bela Bartok. È noto quanto Respighi fosse sensibile alla musica di Debussy, e molte composizioni del bolognese ne danno peraltro eloquente conferma, tuttavia al di là delle affinità stilistiche e di gusto timbrico, ci preme, in questo capitolo mettere in evidenza quanto egli fosse coinvolto nella reazione del celebre compositore francese alla visione progressista 'wagneriana' e quindi come la sua musica tendesse alla tradizione modale.
E. Ciampi, La Campana Sommersa da Hauptmann a Respighi. Il soprannaturale della Natura, Roma, Irfan, 2016, pp. 42-44
[1] Erik Satie, appassionato di arte gotica e di canto gregoriano, frequentò la cerchia 'esoterica' di Joséphim Péladan, sedicente Gran Maestro dei Rosacroce. Le sue Quatres Ogives per pianoforte (1886) si situano su un altro pianeta rispetto alla musica dell'epoca: "neo-gregonianismo grave e austero, melodie modali dagli accenti quasi medievali ispirate al canto-piano, con un'anima alquanto misteriosa, con ieratici accordi perfetti" (J. Viret, La musica occidentale e la Tradizione, pag. 32-3).
[2] Ibidem (pagg. 28-9). Anche al Martyre de saint Sébastien (1911), opera lirica tratta da una fonte letteraria di Gabriele D'Annunzio, Debussy darà - attraverso un impianto modale - debita elevazione spirituale.
[3] Citato da Jaques Viret, Ibidem, pag. 33.
[4] È tuttavia interessante leggere la testimonianza di Guénon su questo musicista orientale che abbandonerà di lì a breve la carriera musicale per fondare un ordine di spiritualità orientale ad uso occidentale: "Inayat Khan, che ho pure conosciuto, era stato ricollegato regolarmente alla tariqah Chishtiya, una delle più diffuse in India e del tutto ortodossa; cosa non impedisce che l'organizzazione da lui stesso fondata sia completamente frutto della sua fantasia e priva di alcun valore; il nome di 'Ordine dei Sufi' che le ha dato è d'altronde veramente assurdo" (René Guénon, Lettere a Julius Evola, pag. 97).
[5] Jacques Viret, La musica occidentale e la Tradizione, pag. 34)
[6] Una reazione decisa, ma in direzione contraria - decisamente dissolvente ed anti-tradizionale - la farà di lì a poco anche Arnold Schönberg.
[7] Jacques Viret, La musica occidentale e la Tradizione, pag. 39.